Le piante sono da sempre fonte indispensabile per la nostra sopravvivenza. Ci sono piante che nel tempo hanno mantenuto rusticità e il loro uso come erbe spontanee si è sviluppato nell’antichità fino ad oggi.
La disciplina che ne studia l’uso alimentare si chiama “fitoalimurgia”, termine che letteralmente significa “alimenti in caso di urgenza”. Infatti, da sempre l’uomo di fronte alla sfida della sopravvivenza ha potuto fare affidamento sulle numerose specie vegetali che popolano il mondo.
Già l’Homo sapiens sapiens era un raccoglitore di erbe spontanee e il suo stile di vita definito di caccia-raccolta si basava su una dieta costituita per oltre il 70% di specie vegetali commestibili. D’altra parte già i Greci e i Romani apprezzavano la malva non solo come medicamento ma anche come gustosa verdura; nel Medioevo, questa stessa specie veniva addirittura fatta coltivare su ordine di Carlo Magno.
Tra il Seicento e il Settecento le erbe spontanee commestibili sostituirono le spezie, segnando, così, la rivincita della cucina contadina contro quella aristocratica. All’inizio del Rinascimento le erbe spontanee erano, infatti, considerate molto importanti per il condimento delle insalate e delle minestre. La raccolta delle erbe spontanee è poi tornata utile nel caso delle carestie, durante le quali queste erbe o parti di esse (radici, frutti e fiori) sono diventati utili sostituti di cereali, legumi, verdure e frutti coltivati.
Nel 1767 il medico naturalista Giovanni Targioni-Tozzetti, nel suo trattato “Alimurgia o sia modo di rendere meno gravi le carestie”, introdusse il termine “alimurgia” a indicare il modo di superamento di periodi di carestia. Infatti, questo termine è composto da “alimenta” e “urgentia”, letteralmente alimenti utili nel momento di urgenza, ovvero in periodo di carestia.
Successivamente, nel 1918, Oreste Mattiolo, professore di botanica e direttore dell’orto botanico di Torino, aggiunse il prefisso “fito” (dal Greco φυτον, ovvero pianta) al termine adottato precedentemente da Targioni-Tozzetti, ampliando l’uso alimentare delle specie vegetali spontanee e dando vita ad una vera e propria scienza: la “Fitoalimurgia”
Oggi, nelle aree geografiche legate alla tradizione culturale e culinaria degli avi, l’uso delle specie spontanee commestibili si è mantenuto vivo grazie alla trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, delle ricette “fitoalimurgiche” entrate a far parte così della tradizione culinaria del posto.
La nostra penisola possiede un elevatissimo patrimonio culinario legato a specie vegetali spontanee, tant’è che ogni regione o area ha mantenuto proverbi e detti riguardanti proprio questa tradizione e queste specie, talvolta anche molto spiritosi.
Nella Valle del Tronto, in Abruzzo, regna il detto: “La ‘nzalata non è bella se ‘ngi sta la pimpinella” con riferimento all’uso della pimpinella, specie raccolta spontanea in tutto il territorio italiano, nelle insalate miste.
In Sicilia si dice: “Esseri tutto pitittu e ciuri di bburrania” a indicare una persona a cui si fa riferimento per la sua bellezza, come quella dei fiori di borragine. In Friuli Venezia Giulia si elogia le proprietà nutrizionali degli asparagi selvatici con il detto: “I sparisi e i bruscandoli i xe del sangue i mei santoli” ovvero “gli asparagi coltivati e quelli di campo sono del sangue i migliori protettori”.
Il meno conosciuto proverbio della campagna Romana recita: “Li crespigni de gennaru non so‘ òcca de ‘illanu”, riportandoci a un tempo – ormai lontano – in cui i proprietari terrieri la facevano da padroni: cioè, i crespigni di gennaio non sono in bocca al villano perché, colti a gennaio, erano considerati un contorno assai prelibato e venivano spesso riservati dai contadini (villani) al padrone della tenuta. Sono chiamate ‘crispigni’ nel Centro Italia alcune specie del genere Sonchus di interesse alimentare, come S. oleraceus o cicerbita e S. tenerrimus o cicerbita dei muri.
In Garfagnana, terra di poesia e natura incontaminata, ma anche di storia e buona cucina, area toscana nella quale viene condotto il Progetto cofinanziato da FEASR Re. UE 1305/2013 – PSR 2014/2020 Regione Toscana Mis. 19 – GAL MontagnAppenino Mis. 16.2 “Erbi Boni”, la tradizione culinaria e proverbiale di queste specie è stata tramandata negli anni.
Nel parlato comune garfagnino, gli erbi boni sono proprio le erbe selvatiche, quelle erbe che possiamo trovare nei boschi, nei prati e sui monti della Garfagnana, utilizzate nella tradizione culinaria.
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